Da giorni sento angoscia e smarrimento.
Una chiusura, una strozzatura alla bocca dello stomaco che non avevo mai provato così.
Ti svegli ed ecco che gli amici più cari, quelli che hanno occupato i minuti della tua vita, quelli che hanno percorso con te le strade del tuo paese, consumando assieme a te le loro suole, non sono più al tuo fianco.
Non uno sguardo, non un abbraccio.
Niente.
E’ questo che aumenta la mia debolezza, il mio senso di non farcela.
Alimenta il niente.
Così in questa notte, in cui penso e scrivo, tutto attorno a me sembra addormentato, fermo.
Morente.
Immobile.
Statico, come lo sfondo di un quadro.
Tutto è senza senso, anche la mia casa e quello che resta della natura intorno a me.
In questo incredibile Getsemani, aspetto tra le decine di miei olivi che il tempo passi, che sorgano albe che saranno a loro volta mangiate dai tramonti.
Aspetto che l’attesa finisca, che qualcosa arrivi per dirmi cosa ne sarà poi di me.
E’ strano: si rincorre spesso la solitudine ma poi, quando ti ci ritrovi immerso fino al collo, hai subito voglia di buttarla nel tuo passato.
Con le poche forze che mi restano, nel mio Getsemani, vorrei avere almeno gli amici addormentati, anche se inutili, al mio fianco.
Non posso essere sicuro nemmeno di quello.
Allora sono qui a dare un senso a questa Pasqua che avrà pure da dirci qualcosa.
E quindi che ce lo racconti oggi o magari fra tre giorni, mentre stiamo aspettando, nonostante tutto, di ripartire.
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