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Visualizzazione dei post con l'etichetta Pasqua

Vuoto - Racconto di Pasqua 2025

I l vuoto. Il nulla. L’effetto di andare a cercare una tomba e trovarsela ribaltata, scoperchiata, vuota. Non è uno dei soliti hangover. Sai, perdi qualcosa e, stranamente, ti senti prima disorientato e poi comincia ad infiltrarsi un po’ di sollievo. E solo allora le preoccupazioni che ti frenavano lasciano spazio alla voglia di fare. E’ risorto, mi dicono qui al sepolcro. Forza, si riparte.

Tu non sei un Dio

Tu non sei un Dio, no. Nessun Dio che conosciamo si farebbe prendere, si farebbe picchiare, si farebbe frustare, si farebbe sputare addosso, si farebbe ammazzare. Tu non sei un Dio, no. In te non vediamo potere, non vediamo soldi, non vediamo lotte. E così ti abbiamo sfottuto, ti abbiamo comprato, ti abbiamo eliminato. Poi anche tu, come un uomo, hai pianto. Ed è da questo, probabilmente, che potremo capire tutto.

Monologo davanti al sepolcro vuoto

  E’ folle per me arrivare qui, convinto di visitare una tomba, e invece non trovarci nulla. Niente a cui aggrappare i tuoi ricordi da amico. Niente da accarezzare, nemmeno la pietra fredda buttata lì, come a dire “qui dentro c’è lui, anche se solo con le sue ossa, con i suoi muscoli ormai induriti, con la sua pelle che piano piano diventerà di cuoio prima di consumarsi”. E se lui invece fosse tornato in vita? Voglio crederci, sì, ma non mi basta: anche se fosse, ho bisogno di vederlo ancora, di sfiorarlo. Già, perchè noi uomini non riusciamo a stare da soli, non ci accontentiamo di vivere con le memorie, con i fantasmi. Ci serve, alla fine, sempre un gesto, anche piccolo, che ci faccia percepire come due o più esseri che si fondono in uno. Il nulla, quello sì, che ci angoscia. Ma forse, questa tomba ora vuota, mi sta dicendo che il nulla, da oggi, non esiste più.

Father and Son (Racconto di Pasqua 2021)

Siamo nell’orto del Getsemani, in una sera tranquilla, senza refoli di vento. Le stelle lampeggiano dai loro punti all’infinito. Gerusalemme, oltre le mura, sembra percorsa da una strana energia. Sotto gli ulivi del Getsemani undici persone dormono: le loro gambe e i loro occhi hanno chiesto di fermarsi. Un uomo, solo, angosciato per la sua vita, alterna singhiozzi a forza interiore e si confida con suo padre. Nell’orto c’è anche un altro uomo, che va oltre quel tempo, preso in prestito da un altro secolo. L’uomo ha tre nomi: si chiama Steven Demetre Georgiou, anche se altri lo chiameranno Cat Stevens e lui si ridarà il nome di Yusuf. L’uomo porta con sè uno strumento musicale, a corde, simile all’antica cetra: ecco che pizzica le corde e incomincia a suonare. Il padre e il figlio allora si guardano; gli occhi si inumidiscono e la loro voglia di abbracciarsi passa così attraverso una canzone*.   Father (Padre): It's not time to make a change Non è tempo di cambiare Just relax, take...

Getsemani (Racconto di Pasqua 2020)

Da giorni sento angoscia e smarrimento. Una chiusura, una strozzatura alla bocca dello stomaco che non avevo mai provato così. Ti svegli ed ecco che gli amici più cari, quelli che hanno occupato i minuti della tua vita, quelli che hanno percorso con te le strade del tuo paese, consumando assieme a te le loro suole, non sono più al tuo fianco. Non uno sguardo, non un abbraccio. Niente. E’ questo che aumenta la mia debolezza, il mio senso di non farcela. Alimenta il niente. Così in questa notte, in cui penso e scrivo, tutto attorno a me sembra addormentato, fermo. Morente.  Immobile. Statico, come lo sfondo di un quadro. Tutto è senza senso, anche la mia casa e quello che resta della natura intorno a me. In questo incredibile Getsemani, aspetto tra le decine di miei olivi che il tempo passi, che sorgano albe che saranno a loro volta mangiate dai tramonti. Aspetto che l’attesa finisca, che qualcosa arrivi per dirmi cosa ne sarà poi di me. E’ strano: si r...

Misero (monologo di Pietro)

Sì, io per tre volte ho risposto di no. Tre volte. Poi un gallo ha cantato ed ha messo fine a questa mia serie. Tre come il numero che è unione dei primi due, tre come il Padre, il Figlio e lo Spirito, tre come le tre del pomeriggio in cui è morto il Cristo. I numeri ritornano, spesso, in modo incredibile. Ritornano anche con noi, che lo abbiamo seguito fin qui: eravamo in dodici. Dodici come le tribù di Israele. Quando il gallo ha cantato, dopo i miei tre no, ho capito con le lacrime quanto sono misero. E solo tre di quelle lacrime hanno rigato il mio volto, arrivando poi alla mia bocca. Le ho gustate ed erano salate. Io dovrei essere sale della terra e invece sono solo miseria. Sì, sono misero. Misero. Misero. Tre volte. NdA. Che sia una serena Pasqua per tutti voi. Vi abbraccio PS: altri racconti ispirati ai personaggi legati alla morte e la resurrezione di Gesù sono questi 2012 - Giuda https://bobbysquare.blogspot.com/2012/04/ho-sbaglia-lamento-di-...

The Passion

Verso il far della mattina si udì un forte sibilo, seguito da un tuono, provenire dall'alto dei cieli. Il sole subito si oscurò per il fumo e per la polvere. Poi la terra tremò e tutti provarono a scappare dai luoghi dove si trovavano. Verso le tre del pomeriggio, il figlio girò il capo verso il padre. Con la bocca impastata dal vomito e dalla schiuma causata dal gas Sarin, disse con la voce debole che in quel momento gli rimaneva: "Papà, non abbandonarmi". Scritta dopo l'attacco chimico su Khan Shaykhoun  e dedicata alle vittime di ogni guerra.

Il manoscritto di Palestrina

Si narra che un signore di mezza età, vagando a zonzo per le vie cittadine, decise, per motivi che non ci sono affatto chiari, di entrare in una chiesa milanese dal vago sapore tardo-romanico. Giunto in una delle piccole stanze e cappellette della chiesa, trovò un crocifisso dipinto su una trave di legno, di dubbia origine ferroviaria. Si narra anche che il crocifisso gli ispirò alcune parole che lo stupefatto signore scrisse su una pergamena anonima, che fu poi di recente ritrovata per caso nella chiesa durante le pulizie di Pasqua, tra qualche vecchio numero di Famiglia Cristiana e fogli di un quotidiano non proprio ortodosso. Questo il contenuto del manoscritto, con il quale vi auguro una serena Pasqua. Soo minga puu cume díll, anca perchè sunt minga bun de fáss capí, se vi alter me scultè no. Alúra v'el disi inscí, ve parli in quèst dialètt, anca se pudaría díll in turinès, in francès, in swahili e anca in cinès. Mi sunt chí, tacá sü a questu lègn, cunt i mè b...

Saint Joseph's Blues

Non si sa molto di me, se non che ho fatto da padre ad un figlio non mio. Me ne sono sempre stato in disparte: non mi è mai piaciuto far parlare di me; io, solo, perso nel mio dubbio dentro un disegno che non era il mio. Eppure quel figlio era diventato per me figlio e lo sentivo mio. Immaginate cosa ho provato quando ho visto le fruste, la condanna, i chiodi, la croce. Già, perchè io ero comunque lì: un papà c’è sempre quando si tratta della vita di un figlio. Non ho ancora capito perchè ho dovuto passare tutto questo soffrire, questo volermi spezzare la vita, che immaginavo diversa. Ogni anno, come voi, rivivo quei momenti.  Ma io non ho ancora guarito quelle ferite; e, allora, piango, urlo, grido il mio dolore. Qualche tempo fa ho incontrato qui dove mi trovo il buon Jim Morrison; gli ho chiesto in prestito una vecchia canzone dei Doors per urlare le mie parole e farmi sentire comunque vivo. Lui ha accettato: ne è venuta così fuori questa mia versione di Roadhouse ...

Ho deciso

Ogni volta che arriva la Pasqua cerco di immaginarmi cosa possono aver provato tutti i personaggi che hanno vissuto i momenti della passione, della morte e della resurrezione di Gesù. Forse perchè più umana, più quotidiana, mi viene più facile parlare, anzi scrivere, della passione e dell'angoscia che accompagna quegli istanti Stavolta me la sono immaginata vista da Ponzio Pilato: quanto era convinto di quello che stava facendo? Quanto era, come Giuda e gli altri, una pedina necessaria di un disegno più grande? Non lo so. So solo che prendo quest'occasione per augurare una buona Pasqua a tutti voi. Ho deciso, io ho deciso che finisca quel sogno, che sparisca dai giorni dove io devo vivere tra queste case, tra la sua gente. E non voglio sapere, non vale proprio rischiare... Dimm ti, cara, mi se g’ho de faa mazzall hinn robb de matt mazzall mea poedi no. De giustizia parlèmm minga in questa tèra balurda, m’hann miss chi per guardàa cui suldàa e sett legio...

Monologo per un figlio

In questi giorni stavo pensando alla Pasqua che sta arrivando.  Prima di spegnere la luce, non so per quale motivo, mi è venuta in mente Maria, stremata, sotto la croce.  Pensavo a lei e a tutte le mamme che soffrono per i loro figli. L'ho immaginata urlare il suo dolore ed ho scritto questo monologo, quasi con piglio teatrale, per quel che mi riesce. MARIA (me la immagino sola, in ombra, con Giovanni sullo sfondo): L'ho seguito di nascosto, mio figlio, fino a qui, sotto la croce. Di nascosto per la vergogna, per la disperazione.  Con gli occhi rossi e gonfi di lacrime.  La gola rotta dalle urla.  Il respiro soffocato dall’angoscia. L'hanno trattato come un traditore, un ladro. Frustato, incoronato con i rovi, gli hanno sputato addosso. Lo hanno sfidato. Hanno voluto capire se era veramente quel che diceva, vedere se Dio lo difendeva, se lo salvava con gli angeli e le spade. Loro, che credevano di conoscere Dio! Già, loro... Non hanno capito ch...

Ho sbaglià (lamento di Giuda)

Ho sbaglià, ho sbaglià e credevi che l'era no vera t'ho basàa e poo tucc i me robb hinn finì quela sera. Ho sbaglià, ho sbaglià, ho capì un bel nagòtt su de ti mi pensavi a trà via i furestèe però no a fatt murì. E adess sun chì cunt el coer che bestèma e te vardi col coo pien de spin g'ho chi trenta muned in saccoccia hinn danè che hann pagàa el to destin. Ma se tucc l'è scrivùu nella vita e 'l tò pà l'è el regista del film ghe vureva anca Giuda in la storia per quel post m'ha cataa foera mi. Ho sbaglià, ho sbaglià l'è bastàa fa un erur come quest el mè stomich l'è a tocch la mia testa me dis de faa prest. Ho sbaglià, ho sbaglià, me Signùur adèss torni pù indree voo a trà via i me danè e me cupi, inscì vegni cun te. O Signùur, vèmm de là, ti te incioden e mi da impicàà e speremm de vedèss anca mò: per basat e per dit che ho sbaglià. Per chi non capisce il dialetto lombardo: ecco la traduzione Ho sbagliato, ho sbagliato e credevo che non fosse ...