Un film che lui aveva già visto, anzi interpretato, che aveva archiviato nella memoria e mai abbandonato.
Meccanicamente allora riprese in mano le protezioni per entrare e seguì quei gesti che non si dimenticano mai dopo che per una volta che li hai fatti nella vita.
Già, proprio come andare in bicicletta: se hai imparato una volta, rifarlo viene da sè.
In sequenza indossò così i calzari, il camice, la cuffia e i guanti in lattice.
Era la sequenza inversa rispetto a quella che ricordava di avere sempre seguito undici anni prima.
Curioso, pensò.
Mentre si sistemava la mascherina su naso e bocca, un dottore gli si avvicinò.
“Sta per entrare nel reparto di terapia intensiva. L’operazione di sua madre è andata bene, questo glielo posso dire. Adesso vediamo come prosegue il postoperatorio.”
“Bene” disse Bob.
“Guardi - bisbigliò ancora il dottore - il reparto è un po’ particolare. Un po’ più complesso della corsia”.
“Non si preoccupi - gli rispose Bob - tempo fa ho vissuto 3 mesi in terapia intensiva neonatale. Quando passi da lì non puoi dimenticare.”
“Effettivamente... è così… prego, allora: entri.”
Il dottore accompagnò l’invito con uno sguardo di intesa, o almeno per quello che si poteva capire dagli occhi, lasciati liberi dalla mascherina.
Bob si fece forza e varcò la porta di ingresso: non fu impressionato da quello che stava vedendo.
Solo, gli tornavano alla mente, scalpitando, le emozioni di undici anni prima.
Fece un occhiolino verso il cielo e si diresse verso il letto di sua madre.
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