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Confessioni di un malandrino

Signore, forse qualcosa non va in quello che faccio o, forse, non capisco più dove devo guardare.
In questi giorni si parla molto di famiglia e unioni civili; come sai, io ho seguito un modello classico, una moglie e due figlie.
Lo apprezzo, lo raccomando e lo racconto a chi lo vuole conoscere ma, semplicemente, non mi sembra giusto imporlo come unico possibile.
E così molti, per esempio, mi dicono che sto sbagliando, che se fossi un politico in una giunta che sostiene registri di unioni civili dovrei dimettermi, che il modello di famiglia è uno e uno solo e gli altri portano la società al collasso.
Toh, mi descrivono come una possibile rovina della società.
Prometto di cercare di ascoltare le storie di tutti però, Signore, queste cose perchè me le dice soprattutto chi una famiglia non ce l'ha?
Più guardo in alto nelle gerarchie che governano quella Chiesa di cui mi sento parte, più mi dicono che sto sbagliando.
Ma allora, se sbaglio, dovrei avere una chance in più.
Se ricordo bene tu hai avuto sempre un occhio di riguardo per chi è più lontano da te e cerca il modo di avvicinarsi facendo un pezzo di strada con l'aiuto degli altri; poi hai lasciato nel loro brodo quelli che erano convinti di conoscerti e sapere tutto su di te.

Commenti

  1. Bene, Roberto. Grazie per lo spunto di riflessione, o meglio: per la possibilità di fare il punto su quella riflessione diffusa che accompagna la mia fede. Aspettati la lenzuolata, solo dalla scaletta di appunti che mi son messo giù ieri alla Scighera mentre aspettavo l’inizio del concerto di Ginevra Di Marco.
    Io semplificherei così: c’è una questione di forma e una di sostanza (i CSI, appunto). In questo momento della mia vita mi fa più penare per la mia Chiesa la questione della forma, ma forse è lo stesso motivo per cui ancora a Bruzzano qualcuno affettuosamente ricorda il mio nome associato alla fascinazione per il post-moderno.
    Perché la questione della SOSTANZA è in presto detta:
    1. Cosa avrebbe detto Gesù in questa situazione? C’è poco da discutere: Gesù è stato uno messo in croce dai “poteri forti” ANCHE perché visto come pericoloso scardinatore dei valori tradizionali, e del modo tradizionale di intendere la famiglia nella sua cultura e nella sua società (la sua mania di andare all’intenzione originaria di Dio, rispetto all’istituto della famiglia come a cento altre questioni, è poco consona a chi utilizza la religione come strumento di stabilità sociale).
    2. La Chiesa può difendere una sua “idea di famiglia”? Sì, è giusto che lo faccia, con pronunciamenti ufficiali della gerarchia o con discussioni animate del popolo di Dio sul sagrato delle parrocchie. Direi che fa parte dei nostri doveri/diritti di cittadini. Anche se il fatto di “maneggiare” un materiale incandescente come il discorso-su-Dio e una consuetudine con la filosofia un po’ sopra la media nazionale aumentano il peso del dovere sulla bilancia (per la nota regola dell’Uomo Ragno): il dovere della vigilanza per non cadere nella tentazione di difendere il sabato a scapito dell’uomo.
    3. È giustificabile l’attuale battaglia della Chiesa (gerarchia e popolo di Dio) per la “famiglia tradizionale”? IMHO, sì. Anche se magari è portata avanti in maniera un po’ goffa (ma qui andiamo nella questione della forma, che affronto dopo). Diciamo che per me Paolo Hutter non ha più ragione di Bagnasco (sarei perfino portato a dare più credito a quest’ultimo, se evitasse di girare per la pubblica piazza acconciato come una vecchia drag uscita di casa senza trucco e parrucco). Ha ragione uno e ha ragione l’altro, perché la verità non sta da una parte o dall’altra, ma nella capacità di ascoltare l’altra parte e trarne giovamento in umanità; ma questo è un concetto troppo difficile per i diffusori di notizie e opinioni (oh, io 3 volte che sono stato intervistato dalla stampa nella mia vita e su 3 argomenti diversi e 3 volte in cui questo era il punto prospettico di tutta la mia argomentazione; risultato: 3 volte in cui il concetto non è stato riportato). Ha ragione Paolo Hutter e la Chiesa ha ragione perché a volte ho proprio l’impressione che la battaglia per i diritti sia portata avanti troppo s-pensier-atamente rispetto alla complessità delle questioni in gioco. Se ci sono degli anziani celibi che mettono giù qualche paletto per non essere troppo faciloni in materia, ben venga: li ascolto in piedi come De Gasperi e Romano Prodi; se mi avanza tempo. Esattamente come ascolto le storie di vita delle famiglie (di tante tipologie, comprese le non-famiglie per mancanza di legislazione adeguata) che incrocio nel mio lavoro. Obbedisco agli uni come obbedisco alle altre; perché l’obbedienza non è più una virtù, è un principio di realismo. Mi piacerebbe uno stile qualche volta un po’ diverso nella maniera di proporre i principi che alcuni pretenderebbero non-negoziabili; ma appunto, qui si va nella seconda questione.

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  2. La questione della FORMA, in cui mi sa che sarò ancora più lungo:
    1. Mi piacerebbe, dicevo sopra, che i curatori-della-immagine della mia Chiesa ogni tanto suggerissero alle gerarchie di mettere in piedi delle iniziative un po’ visibili di ascolto delle persone. Che è una cosa che succede, a livello di documenti. Cioè, col mio essere fuori dai giri che contano, però conosco laici che concretamente sono stati coinvolti nella stesura di documenti ufficiali; coinvolgimento del tipo: «Vorremmo pronunciarci su questo argomento: ci dite cosa ne pensate?»; e qualche mese dopo: «Provate a leggervi la prima stesura e dateci un parere». Ma questo sui mass-media non appare; appare solo: «Il papa ha detto che …»; oppure: «Il papa ha detto che non si può fare questo»; o infine: «I vescovi attaccano il tale o il tal’altro». Le uniche volte in cui pare che il papa ascolti qualcuno è per alcune vittime di pedofilia pretesca preventivamente selezionate. Non so se è una questione di curatori-della-immagine che non sanno fare il loro mestiere o di committenti che desiderano che passi proprio quella immagine lì.
    2. Nel frattempo mi piacerebbe trovare anche un po’ meno esponenti del popolo di Dio che nelle discussioni da sagrato hanno come principale (spesso unica) argomentazione: «È così perché l’ha detto il papa» :o!? Perdirindindina, il papa sta lì a rappresentare l’unità delle Chiese, mica a levarti l’incombenza di pensare con la tua testa.
    3. Ma la questione della forma verte soprattutto sul rapporto con i mass-media. Magari sono infastidito dall’assalto al prete di Quarto Oggiaro perpetrato ‘sta settimana da testate giornalistiche e televisive in merito a quanto Riccardo D. C. detto Pulce ha combinato in quartiere negli ultimi anni e al “Beccaria” settimana scorsa. L’ultimo domenica: 15.45 e io che in ritardo come al solito corro qua e là a preparare quello che serve per i battesimi delle 16.00 quando irrompe in chiesa la troupe intervistatrice+cameramen+terzouomo a chiedermi una dichiarazione per il TGRegionale della sera … come cavolo si fa? A quel punto lì tanto valeva fare una dichiarazione alla Bonnot («L’unica maniera di avere rapporti con le banche è assaltarle!») o alla Aigor («Blücher!»), per l’importanza che davano alla cosa. Ma intanto il mese dai media (anche dai media sinceramente democratici che frequento) è stata un’infilata di perle di questo livello: il mio sindaco apre concretamente i registri delle coppie-di-fatto; una settimana dopo il mio vescovo intervenendo a un convegno sulla scuola attacca la decisione del Comune di Milano; due giorni dopo il mio sindaco mentre inaugura una mostra fotografica si esprime a favore dell’adozione da parte delle coppie omossessuali; il pomeriggio seguente il mio vescovo durante l’omelia della visita pastorale in una parrocchia brianzola dice che bisogna combattere per la difesa della cosiddetta “famiglia tradizionale”. Il fastidio sta nel fatto che sia Giuliano che l’Angelone non hanno usato toni da combattimento; che entrambi hanno un pensiero un po’ più articolato sulla faccenda; e che spererei ogni tanto si trovino a bersi una birra insieme e a confrontarsi sinceramente, ad ascoltare sul serio quello che l’altro ha da dire per esserne entrambi arricchiti in verità. E invece dai media emerge questa immagine di due comari che si mandano a dire le cose “perché suocera intenda” e perché chi ha bisogno di battaglie per sentirsi in pace sappia e non sappia come si stanno schierando gli eserciti. I media sono delle brutte bestie: semplificano tutto perché nessuno cresca.

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  3. Charlie da te ricordato un paio di post qua sotto, in un’estate di tanti anni fa (1985: me lo ricordo perché io ero rimasto in seminario a preparare l’esame di maturità, e lui passò dentro a cena) a tavola tirò fuori un’arguta osservazione che ricordo ancor oggi. Disse che il problema dell’immagine della Chiesa con i giornali sta nel fatto che i giornalisti che si occupano di Chiesa sono tutti politici; sono cioè giornalisti che hanno imparato il mestiere nella cronaca politica, e dunque hanno nel DNA l’attitudine a scovare la contrapposizione tra partiti, lo schierarsi di correnti avverse entro lo stesso partito (ai tempi c’era ancora un animale mitologico chiamato “balena bianca”, D.C. per gli amici); sarebbe stato meglio per la Chiesa se a trattarne fossero stati i giornalisti sportivi, di mestiere più avvezzi a cercare le trame sinergiche dentro una squadra. Tutto questo detto con lo humour anche auto-ironico del Charlie. Ecco, sapendo queste cose da almeno 30 anni, ogni tanto mi piacerebbe un atteggiamento un po’ più mourinhano negli alti prelati, teso a prendere in contropiede la stampa e la TV: «Lo so benissimo che siete qui a cogliere nel mio discorso solo gli accenni interpretabili come risposta a quello che Giuliano ha detto mercoledì … e io invece su quello non vi dico niente; tanto lo sapete già cosa ne penso». Oppure: «Ragazzi, sono tre settimane che nella rassegna stampa che arriva in curia si parla solo di famiglia e omosessualità … cosa volete sentire ancora che no sia già stato detto. Perché invece non mi chiedete cosa ne penso rispetto all’allungarsi delle file fuori dai centri d’ascolto della Caritas, che è un argomento che mi assilla altrettanto?».

    Bon. Taglio qui perché per me è ora di svegliarsi e andare a lavorare.

    Stefano

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