In quello strano inizio di estate, Einstein rimase abbastanza sorpreso da quel colpo, improvviso, che proprio non si aspettava.
E come non dargli ragione: quella palla, sul rovescio tagliato dal suo avversario, era impossibile che corresse lungo la linea del campo, dritta, perfettamente coincidente, per poi rimbalzare, maledizione, all’incrocio delle linee.
Lo confermava la fisica classica.
Non per niente Einstein era il suo nome di battaglia, nella vita e nello sport: tutto per lui aveva una spiegazione razionale, dall’antimateria alla traiettoria di una pallina da ping pong.
Ma quella maledetta volta il caso, la bravura oppure il culo dell’avversario o, secondo altre visioni del mondo, la vita, gli avevano riservato quella traiettoria non terrestre.
Non riuscire a rispondere a quel rovescio tagliato per Einstein volle dire tornare a casa con una sconfitta in saccoccia.
Perdere ci sta - pensò - ma non in questo modo.
Sapeva che avrebbe rivisto, prima o poi, il suo avversario.
Mentre infilava la racchetta nella custodia, già immaginava cosa avrebbe dovuto fare per non ridargliela vinta.
No, non bastava con lui giocare di difesa.
Era necessario attaccare per primo, veloce, in modo da rendergli impossibile un nuovo rovescio incrociato.
Einstein passò così mesi sognando di notte di quel maledetto colpo, con il timore che si ripetesse e lo buttasse fuori dal torneo una volta per tutte.Cambiò abitudini, cambiò tecniche di allenamento: cambiò anche coach, racchetta e gomme, incollando sul legno fronte e retro quelle più votate all’attacco.
Molti mesi dopo, Einstein incrociò di nuovo quel maledetto giocatore in un torneo: sentì che era arrivato il momento di dimostrare che lui era il più forte.
Stavolta Einstein giocò le sue carte e riuscì a parare i rovesci incrociati lungolinea: quel colpo ormai non gli metteva più paura.
Se la giocarono ad armi pari.
Al terzo set Einstein si vide arrivare nel campo una palla incredibilmente corta e lenta, che accarezzò la retina per fermarsi subito dopo, rallentando improvvisamente.
Fu un secondo duro colpo per lui, ma sapeva che non doveva mollare.
Dopo alcuni scambi, l’avversario provò ancora quel nuovo colpo corto.
Inconsciamente, con un riflesso innato da conservazione della specie, Einstein corse attorno al tavolo, aspettò che la pallina passasse la retina e mise in campo una palla tagliata che accarezzò più volte il campo dell’avversario prima di cadere.
Einstein stavolta era tornato in gioco ed aveva tutta l'intenzione di portarsi a casa quel match.
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