“Vi hanno già parlato del dotto di Botallo?” ci dice la dottoressa neonatologa.
No. Non sappiamo nulla di questo signor Botallo, del suo dotto e non sappiamo cosa c’entri tutto questo con nostra figlia Alessia.
Proprio mentre ci stiamo tranquillizzando un po’, visto che il postoperatorio di Alessia è andato bene, c’è un’altra novità alle porte.
Leonardo Botallo era un medico del 1500, molto esperto, che finì i suoi giorni al servizio del re di Francia a Parigi. Un cervello italiano emigrato, come tanti.
A lui è dedicato un tubicino che porta il sangue dall’aorta all’arteria polmonare.
Questo dotto rimane aperto nella vita uterina e si chiude da sé poco dopo la nascita, modificando la circolazione sanguigna nel bambino neonato.
Spesso nei prematuri non si chiude da solo: Alessia, ovviamente, non sfuggiva a questa regola.
Quando non si chiude si prova ad intervenire farmacologicamente, dando ai neonati una sostanza, l’ibuprofene: generalmente questa mossa ha successo; Alessia invece questa regola non la rispettava.
Il dotto non ne voleva sapere di chiudersi.
Ma per far funzionare bene i polmoni di Alessia, non ancora maturi, bisognava per forza chiuderlo.
Non rimaneva che l’intervento chirurgico: il secondo in meno di un mese.
Ripetiamo la via crucis che abbiamo già percorso con l’operazione all’intestino: l’attesa del giorno dell’intervento, il colloquio con i medici, la speranza che l’intervento riesca bene.
Anche questa volta il medico che opererà Alessia è un primario.
E con questo ne abbiamo conosciuti 3: il primario della neonatologia, quello della chirurgia pediatrica e adesso quello della cardiochirurgia pediatrica.
Quando vedi che un primario gira attorno a tua figlia, pensi immediatamente, senza mezzi termini, che siano veramente cazzi amari.
Se poi è lui che la opera, allora è chiaro che la situazione è seria e ti stai affidando alla mano di Dio o quasi.
Il colloquio dove i medici illustrano la situazione è semplice: “Si tratta di mettere una clip metallica per chiudere il dotto di Botallo”.
Si tratta tecnicamente di un intervento banale. Diventa una roulette russa su un neonato di 800 grammi. “Il rischio dell’intervento non è legato al postoperatorio, ma è immediato: statisticamente nel 30% dei casi non riesce perché le strutture del neonato sono fragili e possono non tenere”.
Si apre il torace, si mette la pinzetta e si spera che le viscere di Alessia non si sfaldino; se parte un’emorragia è chiaro che la storia finisce lì.
Firmiamo i soliti consensi e aspettiamo il verdetto: è come se ci fossero sul tavolo 3 carte coperte; due ti fanno vincere, con la terza il croupier ti porta via tutto.
Sono momenti in cui non pensi a nulla. Razionalmente non puoi attaccarti a nulla. O la carne di Alessia è resistente oppure va tutto a carte quarantotto.
E’ una lotteria, un gratta e vinci, un lancio di dadi.
Dopo circa un’ora il primario ci avvisa che l’operazione è andata bene: la piccola è intubata ma da lì a poco sarebbe stato possibile vederla.
E’ finito un altro incubo,
Vorremmo festeggiare; poteva morire ancora una volta e invece ci sembra ancora una volta rinata.
Ma si bloccano i reni. Niente pipì per un giorno: dopo un’operazione vuol dire non riuscire nemmeno a smaltire l’anestesia.
“Piscia Alessia,ti prego”.
I medici sono preoccupati. Io sono abbastanza provato: qualche giorno fa ho dovuto fare il tifo per la cacca, ora per la pipì.
Alessia accumula liquidi, si sta gonfiando.
Raggiunge il chilo di peso, ma così non va bene.
Dopo un giorno i diuretici fanno il miracolo: il piccolo catetere inizia a riempirsi.
Conto le gocce che passano nel tubicino. Sto impazzendo.
“Brava Alessia, hai superato anche questa tappa…
Possiamo riprovare un’altra volta a vivere.
Una clip metallica ti rimarrà per tutta la vita, Alessia, ma almeno anche questa avventura ce la potremo raccontare quando sarai grande.
(7. CONTINUA...)
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