Non c’è nulla di più rassicurante di trovare le cose là dove le abbiamo lasciate.
Vai, cerchi e trovi lì dove ti aspetti di trovare quello che cerchi.
Capita così anche con Alessia: entri nello stanzino della terapia intensiva e lì, in fondo a sinistra, trovi l’incubatrice giusta.
Un giorno però capita che entri, vai nello stanzino e Alessia non c’è.
Quel brevissimo periodo di tempo che passa tra quando te ne rendi conto e la risposta del medico a cui chiedi dov’è finita tua figlia è però abbastanza lungo per farti girare nella testa un carosello di ipotesi. Il problema è che ogni ipotesi ti sembra quella giusta.
Certo, se non è lì, l’hanno spostata… o perché sta meglio o perché sta peggio.
Pensarci è un attimo, ma quell’attimo basta per toglierti la forza dalle gambe.
“E’ stata portata in isolamento” mi dice uno dei medici di guardia.
Alessia è stata allontanata dagli altri neonati: per fortuna è solo una congiuntivite.
Già è triste vedere questi piccoli nelle loro placente di plexiglass messi uno accanto all’altro, ma vederne uno da solo, messo in una stanza senza nessuno, lascia nell’animo un misto di pietà, tenerezza e tristezza.
E così ci prepariamo a vivere anche l’esperienza dell’isolamento.
Le finestre della stanzetta dove si trova Alessia danno su un’aiuola dell’ospedale.
Nevica.
Questo inverno del 2010 ha deciso di lasciare il segno.
Scendono i fiocchi e Alessia fatica a mangiare dal sondino.
Le strade cominciano a imbiancarsi e Alessia desatura in ossigeno e viene aiutata con la respirazione assistita.
Che bella la neve. Me ne andrei in giro a piedi sotto i fiocchi e invece sono qui, in isolamento, con un occhio fisso al saturimetro a fare il tifo per mia figlia che deve mangiare e respirare bene. Alessia, un leggero fiocco tra i fiocchi.
Nevica ancora e devo tornare a casa da Laura e Lucia.
Sono in bici.
Telefono a Laura. “Arrivo. Tutto bene adesso. Prima Alessia l’è s’ciopada. Una piccola apnea con bradicardia, ma si è ripresa da sola… adesso satura bene. Ciao”.
Dopo pochi giorni Alessia uscirà dall’isolamento.
Rientrerò poi di nuovo in quella stanza di una clausura di sofferenza solo una volta, per salutare una piccola bimba che, dopo qualche ora, volerà via per sempre sopra le nuvole.
Mattone su mattone si costruisce una casa, pietra su pietra sono state costruite le piramidi.
Così, grammo dopo grammo, Alessia ha costruito la sua salvezza.
820 grammi alla nascita, 700 dopo il calo fisiologico, 2800 alla dimissione dopo 4 mesi di terapia intensiva.
Giorno dopo giorno Alessia aggiungeva qualche grammo a sé, sfruttando quanto poteva prendere dal latte di Laura.
Prima con un sondino, poi, con molta fatica, con il biberon e infine dal seno di Laura.
Piccoli passi per un prematuro, ma grandi tappe per il suo percorso evolutivo.
Ogni pasto è stata una scommessa giocata e quasi sempre vinta, ogni giorno era una sfida vedere che il peso continuava a crescere.
E’ stato difficile vedere Alessia crescere così: prima l’ansia di arrivare a pesare un chilo e poi la soddisfazione di aver raggiunto il chilo e mezzo.
Come in un’ascensione in montagna, quando si vede già il rifugio da fondovalle, ma si capisce che per arrivarci la strada è ancora lunga: così Alessia scalava i suoi primi mille, poi millecinque, duemila, duemilaottocento grammi.
Così cocciutamente attaccata alla vita, come chi vive di montagna e sa che, se da una parte c’è il dirupo, dall’altra c’è la via per arrivare in alto e dominare con lo sguardo la valle.
(10. CONTINUA...)
Commenti
Posta un commento