Poteva morire… Poteva morire?
O potevano morire… Potevano morire?
Non lo so, e non lo saprò probabilmente mai. Tra me, tra noi e la risposta a queste domande, da quel giorno c’è un muro di nebbia. Un muro fitto, dove non conviene cercare di passarci in mezzo.
Da quel giorno, 28 gennaio 2010 maledetto o benedetto non so, in cui Laura ha dovuto correre in ospedale: un’emorragia stava mettendo a rischio lei e Alessia.
Quel giorno Alessia era nella pancia di Laura da 26 settimane e una manciata di giorni.
Era tecnicamente un feto, ma per noi era già Alessia: io e Laura avevamo incredibilmente già trovato un accordo sul nome.
Con Lucia, la nostra prima bimba, la scelta del nome era stata una sorta di trattativa tra azienda e sindacato, tra maggioranza e opposizione: due veti per ciascuno di noi e poi largo alla trattativa.
Stavolta il braccio di ferro non c’era quasi stato. Alessia andava bene a tutti e due, e quindi ci eravamo fermati subito lì.
Quel giorno parte l’emorragia, inarrestabile e Alessia deve uscire per forza dalla pancia di Laura: a quello stadio di gestazione far nascere Alessia è come fare qualcosa che è una via di mezzo tra un aborto e un parto prematuro.
C’è chi è nato anche prima, è vero. Ma i rischi sono enormi.
Devono tagliare d’urgenza la pancia di Laura, devono togliere Alessia, devono rianimarle tutte e due. E speriamo che rispondano alle manovre.
Già, anche Laura rischia: ha un’emorragia importante.
Mentre cerco di raggiungere in fretta l’ospedale di Niguarda, capisco che la situazione è seria. Per fortuna l’ospedale è vicino.
Milano sarà pure piatta, grigia, senza il mare, ma almeno hai un ospedale sempre vicino.
E se fossimo andati ad abitare in collina, su un casale, fuori dalla bolgia delle auto che invadono la città?
Avremmo avuto un ospedale vicino? Si sarebbe salvata Alessia?
E Laura?
In fretta. Bisogna fare in fretta.
Mentre guido verso l’ospedale, mi sembra di giocare a morra con il destino.
Una morra di soli tre numeri: zero, uno, due.
Il nulla, la base di tutto e la coppia.
Zero, uno, due.
In quanti si salveranno in questa giornata da incubo?
Nessuno? Non ci voglio nemmeno pensare.
Uno? E’ già qualcosa, ma ancora troppo poco. E, mio Dio, se sono costretto a scegliere?
Due. Deve essere due la risposta.
In fretta. Devo fare in fretta: devo lottare con loro.
Sono la mia famiglia. Insieme sono il tutto.
Si salveranno entrambe.
(3. CONTINUA...)
Commenti
Posta un commento