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Ha voluto vivere. La storia di Alessia. ACCRETA: COSA VUOL DIRE?

Che quella di Alessia sarebbe stata una gestazione difficile l’avevamo capito presto.
Già prima di arrivare al giro di boa del terzo mese eravamo finiti al pronto soccorso, preoccupati per una delle emorragie che avrebbero scandito tutta la gravidanza.
Il copione è sempre quello: vedi quel sangue che non ti aspetti, ti vesti come meglio puoi, ti infili in macchina più presto che puoi, arrivi in ospedale coi battiti alle stelle e stai inerme a vedere come va a finire questa roulette russa.
“Metrorragia”: è sempre la diagnosi di accettazione, che per i medici è quello che le donne in gravidanza chiamano emorragia; non lo sappiamo ancora, ma di queste diagnosi ne collezioneremo un po’.
Prosegue il copione: sdraiarsi sul lettino, fare l’ecografia, vedere se l’esserino che è dentro di Laura dà ancora segni di vita.
Aspettare infine il referto del medico. Come un giudizio superiore, senza appello: solo allora si può capire se si va avanti.
Anche quella volta ci è andata bene: Laura si deve fare un po’ di riposo forzato.
Usciamo, è notte: nella sala d’aspetto una ragazza attende i medici perché dovrebbe interrompere la gravidanza.
Strana situazione: noi che rischiamo di perdere l’embrione e vorremmo tenerlo, lei che vorrebbe mettere al suo la parola fine. A volte cominci la tua vita nell’utero sbagliato e per te finisce tutto lì, senza mai vedere una nuvola.
Invece Alessia, quella sera, continuava a vivere con noi, dentro Laura.

Le settimane passavano e la bimba cresceva nell’utero.
Solo il colore del sangue ci ricordava che la strada era ancora lunga da percorrere.
Alla ventunesima settimana nuova emorragia, questa volta veramente copiosa, nuova fuga in ospedale, nuovo batticuore, nuova attesa di giudizio senza appello.
L’ecografo cerca il cuore di Alessia: batte, ed è già una conquista.
Il sangue poi si ferma. E’ una fortuna: un parto a queste settimane di gestazione avrebbe portato quasi certamente alla morte di Alessia.
Laura viene tenuta in osservazione qualche giorno in ospedale. Non perderà più sangue, ma tornando a casa saprà di avere una placenta previa centrale posteriore destra, accreta.
Previa: sta troppo in basso, verso il collo dell’utero.
Centrale: la peggiore tra le placente previe; ti occupa tutta la parte centrale dell’utero. Significa una cosa certa: Alessia nascerà con un cesareo.
Posteriore destra: la placenta sta attaccata all’utero in quella posizione.
Accreta: attaccata, aderente, inchiodata all’utero.
“La placenta si è attaccata all’utero e non all’endometrio – ci spiega uno dei medici – così mentre l’utero si deforma con il passare delle settimane, la placenta, che invece è rigida e non si deforma, tende a strappare il tessuto dell’utero e crea le emorragie. Come se fosse un piccolo terremoto…”
I terremoti: mi ha sempre affascinato capire come si caricano queste grandi molle naturali, per capire quando e dove scatteranno. E adesso mi ritrovo lo stesso meccanismo che mette in pericolo la vita di mia moglie e quella di mia figlia che cresce dentro di lei.

Ormai era maternità a rischio, Laura doveva stare a riposo, sempre guardata a vista da qualcuno e non poteva allontanarsi troppo da casa. Sapevamo che le emorragie dovevano tornare.
Ed ecco il terremoto risvegliarsi alla ventiquattresima settimana: la solita corsa in ospedale ed il solito periodo di osservazione. Anche questa volta il sangue aveva risparmiato Laura ed Alessia.
Alla ventiseiesima settimana e due giorni la scossa finale.
Sono al lavoro e mi telefona Laura: “Vieni subito. Ho un’emorragia più grossa del solito. Sto andando con i tuoi al Pronto Soccorso”.
Saranno le ultime parole che sento dire da mia moglie incinta; lascio l’ufficio, prendo la macchina e arrivo in ospedale giusto in tempo per salutare i miei genitori fuori dalla sala parto e vedere poi passare una incubatrice, spinta di corsa da medici e ostetriche, con dentro un piccolo corpicino.
“E’ il papà della bambina?” mi chiedono.
“Sì”
“Venga con noi in terapia intensiva neonatale. Prepariamo Alessia e poi la facciamo entrare.”
“Sì. Come sta la bambina?”
“E’ piccola…”
E’ il 28 gennaio. E’ nata Alessia, che pesa 820 grammi e doveva nascere il 5 maggio. E’ piccola.
Laura è sotto i ferri, il primario ginecologo la sta ricucendo con una sutura che in pochi al mondo sanno fare, è intubata ed ha perso molto sangue.
Non so a cosa pensare, a quale film dovrò assistere.
Ma forse non devo pensare.
Laura, vieni fuori anche tu di lì.
Sono ancora papà, ma questa volta il gusto che sento è quello del fiele.

(4. CONTINUA...)

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