Fate entrare qualche volta Dio in terapia intensiva neonatale, se non c’è già stato.
Fategli mettere i calzari, la veste, la mascherina, i guanti.
Fategli vedere i bambini da mezzo chilo, da un chilo, da due, da tre.
Fategli vedere le incubatrici, le bombole di ossigeno, i tubi, le sonde, i sensori, i tracciati dei battiti e dei respiri.
Fategli vedere le radiografie, le ecografie, le risonanze magnetiche.
Lasciatelo guardare le mamme e i papà che accarezzano, lavano, portano al petto figli che dovrebbero ancora crescere nel ventre della loro madre.
Lasciatelo ascoltare i suoni dei monitor che sussurrano sul battere del cuore, che avvisano se il respiro è debole, che strillano quando l’ossigeno scarseggia.
Lasciategli asciugare le lacrime di padri e madri che si aggrappano ad ogni fiato, lasciatelo ammirare i sorrisi di padri e madri che hanno capito che il giorno dopo si va tutti a casa.
Lasciate che parli coi dottori, che cambi i pannolini, che veda il latte dentro ai biberon o spinto da pompe negli stomaci dei neonati.
Poi chiedetegli perché.
Ditegli che vedere un adulto stare male è difficile, ma vedere questi piccoli soffrire così è insopportabile.
Ascoltate le risposte che Dio vi darà, piangendo forse di fianco a voi.
Poi uscite con lui, togliete i calzari, buttate il camice, gettate i guanti e la mascherina.
Salutatelo.
Tornerà in TIN.
Tornerà nelle mani del chirurgo che opera per salvare un bambino.
Tornerà nei seni della mamma che prova a dare il latte al suo piccolo.
Tornerà, in qualche modo tornerà.
Non può lasciare così quei piccoli.
Ne sono sicuro.
E, tutte le volte che tornerà, fatelo entrare.
(8. CONTINUA...)
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