Non ho mai guardato un monitor con tanta attenzione come quando Alessia è stata ricoverata in terapia intensiva neonatale.
Cosa si nascndeva dietro questi schermi e quelle righine colorate?
Grafici, valori dei parametri vitali che stavano misurando alla piccola Alessia.
Colorati come in un piccolo arcobaleno.
Il rosso della pressione massima e minima.
Il bianco degli atti respiratori.
Il giallo delle pulsazioni cardiache.
L’azzurro della saturazione di ossigeno nel sangue.
Quattro valori, quattro carte in picche, quadri, cuori, fiori che ti dicono se e quanto va bene il tuo neonato.
E poi gli allarmi, segnali acuti che ti avvisano se tuo figlio sta passando un momento dove il cuore batte poco o il suo sangue è poco ossigenato.
Nella terapia intensiva è normale sentire questi concerti di allarmi che suonano.
Al minimo accenno di rumore, l’occhio corre subito al monitor e fotografa immediatamente le condizioni del neonato.
“Oggi la pressione è un po’ ballerina…”
“La saturazione scende. Se desatura troppo bisogna dare ad Alessia qualche pizzicotto sulle gambe o sulle braccia”.
“Mmmmh. Siamo in bradicardia… diamo qualche pizzicotto per svegliare il piccolo”.
Ma non basta.
Si crea una dipendenza dal monitor, da questa strana televisione che in un minuto ti rende preoccupato e che poco dopo ti fa euforico.
E a casa, cosa succede quando il monitor non ci sarà più’?
Come andrà la saturazione? Respirerà bene?
Abbiamo paura di stare senza le macchine.
Informazioni, tutto e subito…
Que viva el monitor.
Ma nessun monitor potrà mai sostituire l’incrocio di sguardi tra me e Alessia; ecco, abbozzo un sorriso ed un po’ di mimica e dai suoi piccoli occhi capisco se sta bene o male.
Ogni sera, in terapia intensiva, il solito e rodato rituale: guardo in faccia la bimba e già posso intuire cosa dirà il suo bollettino medico.
Poi, uscendo per tornare a casa, il maledetto vizio di guardare ancora quel benedetto monitor.
“Alessia satura bene…”
E torno allora contento a casa, per cena.
(9. CONTINUA...)
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